“开门见山” (kāi mén jiàn shān)*, “Aprire la porta, vedere le montagne”.
Lo sentivo pronunciare spesso durante le riunioni di lavoro con i colleghi cinesi. La prima volta, ed ero fresca di studi, mi convinsi di aver preso fischi per fiaschi.
Cosa c’entravano mai “aprire una porta” e “vedere delle montagne” con i progetti commerciali di cui si sarebbe dovuto discutere? Quasi mi vergognavo a chiederne spiegazioni, non avendo sufficiente esperienza lavorativa e dovendo ancora compiere quel salto dalla conoscenza teorica di una lingua straniera a quella pratica, dove ogni cosa sembrava trovare una nuova collocazione.
Vocaboli ed espressioni idiomatiche che, dalle pagine accademiche, balzavano fuori per indossare altri abiti e inserirsi in contesti reali e meno ovattati.
Ogni volta che “开门见山” kāi mén jiàn shān veniva pronunciato ad alta voce, mi sembrava un invito perentorio, di quelli che non consentono voci flebili e risposte fiacche.
Meng Jie 梦洁 (Mèng: sogno, Jié: pulito, nitido, genuino), in quel periodo, era la responsabile dell’ufficio italiano post-vendite per l’azienda in cui ero stata appena assunta.
Veniva da Nanchino e aveva una personalità brillante. Il suo nome rispecchiava alla lettera, non solo l’aspetto fisico – era davvero bella, da sogno, appunto – ma anche il suo animo, gentile e puro, nel senso che era riuscita a mantenere una genuinità, spesso in contrasto con un ambiente professionale, subdolo e prevaricatore.
Fu proprio lei a segnare l’esordio di quell’espressione a me sconosciuta. A colpirmi era stata la sua schiena dritta e la postura delle parole, cinesi, che le uscivano dalla bocca, esplicite e dirette.
Intuii trattarsi di un’esortazione a un confronto tra le parti, senza mezzi termini e girotondi verbali. Insomma, ad andare al sodo delle questioni.
Provai a visualizzare la sensazione che percepivo nel ripeterla mentalmente:” Kāi mén jiàn shān …kāi mén jiàn shān …kāi mén jiàn shān!”
Un suono veloce e affilato. Il gesto rapido di aprire una porta e trovarsi innanzi a delle montagne, monoblocchi di roccia, terra e vegetazione. Nessun ostacolo fra me e loro.
Una direzione ben definita.
Fermarsi all’oggettività di ciò che si palesa agli occhi, alla sua essenza concreta e non immaginata. Poco spazio per i voli logorroici della fantasia.
Le montagne sono montagne, null’altro.
Di recente, partecipando a un’importante riunione di lavoro, un imprenditore cinese me lo ha ripetuto con la stessa forza ed energia di Meng Jie, dopo tanto tempo in cui era come sparito dal mio linguaggio quotidiano. In quel momento, ho pensato che le montagne si fossero trasferite dal tavolo della sala riunioni del mio primo impiego a quello in cui mi ritrovavo da adulta, e che mi avessero inseguito.
Nella cultura cinese, il concetto di reciproco rispetto non prevede ambiguità. Valorizza il nucleo dei problemi e declina i discorsi inutili. In ambiti ben definiti, come quello del business, tale espressione è spesso utilizzata per descrivere un approccio pratico alle negoziazioni. La mentalità cinese è pragmatica, ama l’efficienza. Evitare di perdersi in parole eccessive, diventa così un segno di considerazione verso il tempo altrui. Ciò, negli anni, mi è parso sempre più evidente, soprattutto, durante gli incontri tra delegazioni cinesi e italiane— queste ultime famose per la loro prolissità.
“开门见山” kāi mén jiàn shān incarna una profonda sfumatura culturale. In Cina, infatti, essere diretti non significa farlo in modo impetuoso o istintivo; al contrario, è un agire diplomatico, che presuppone un colloquio diretto, ma controllato, e orecchie mature per ascoltare.
È un momento in cui si richiede incisività e prontezza di riflessione.
“Aprire la porta e vedere le montagne”, senza preamboli. Un atteggiamento che riguarda anche la scrittura.
Di storie e leggende intorno a questo proverbio ve ne sono tante e nebulose.
Si racconta, ad esempio che, anticamente, un pittore celebre per i suoi ritratti paesaggistici, in particolare di montagne, fu colto da una domanda di un amico che lo era andato a visitare. Costui, osservando il quadro dell’artista, gli chiese:
«Dipingi sempre montagne, perché non aggiungi fiumi o laghi?»
Il pittore, sorridendo, replicò:
«Perché mai dovrei? Non appena apro la porta, sono le montagne che vedo, non altro.»
Anche il poeta della dinastia Tang, Li Bai ( 701-762), adorava contemplare i fiumi e le montagne e a essi dedicò numerose poesie. Si distinse per lo stile emotivamente intenso e l’atmosfera romantica dei suoi componimenti, nei quali prediligeva un registro diretto, che toccasse da subito il cuore dell’argomento.
Oggi, sebbene aprendo la porta di casa a mostrarsi siano imponenti edifici, mi piace immaginarli come estensioni verticali che dalla terra si slanciano verso il cielo, in un canale privilegiato di chiarezza interiore.
Un post-it giornaliero, semplice e di una limpidezza sorprendente!
“Exploring China”, www.fesliyanstudios.com
*开kāi, aprire
门mén porta
见jiàn vedere, guardare
山 shān montagna